Cuoco, chef, insegnante di cucina sono lavori diversi.
Ognuno di loro ha uno scopo peculiare: il cuoco cucina e spesso il cuoco è più bravo dello chef in questo; lo chef è il direttore d’orchestra; l’insegnante deve avere il dono della generosità nel donare la propria conoscenza.
Non ho menzionato il cameriere e tu lettore potresti chiederti il perché del titolo.
Il cameriere ha il termometro della situazione in sala.
Molti studenti lavorano come camerieri durante gli anni del liceo e poi dell’università.
Non tutti diventano chef. Questo non è, il più delle volte, il loro obiettivo.
Ma, come ho scritto prima, capiscono cosa sta succedendo in una sala da pranzo.
Essi sanno, per esempio, che devono rispettare l’ordine di arrivo dei clienti: non si può servire per primi un tavolo che arriva per secondo.
I camerieri sanno che devono aspettare che tutti allo stesso tavolo abbiano finito di mangiare il primo piatto – o il piatto principale – prima di portare a tutti il secondo o il dolce. Questa parte può essere più difficile, dato che tutti mangiano a velocità diverse (ero ieri in un ristorante per il brunch con la mia amica Sue: ho mangiato in 15 minuti quello che ha mangiato lei in 50). Questa “diversa velocità” può causare piccoli problemi nell’ordine di servizio dei tavoli: le persone arrivate dopo possono finire prima.
Il cameriere deve essere in grado di portare le ordinazioni in cucina nel giusto… ordine. Allo stesso tavolo gli ospiti possono chiedere lo stesso piatto, ma ognuno con una differenza.

Sinceramente devo dire che nel mio ristorante – che ho gestito per 12 anni 1985 – 1997 – ogni giorno e ogni servizio andava liscio in cucina e, come chef, voglio riconoscere a me stessa il dono di mantenere la calma (nello spirito) e velocità (nell’azione del corpo) allo stesso tempo, tra tutti i lavoratori in cucina.
Ma ho ancora un vivido ricordo di una sera in cui un tavolo di quattro persone ordinò 4 zuppette di molluschi: una senza pane, una senza aglio, una senza salsa di pomodoro e una senza cozze. Per qualche misteriosa ragione (forse perché la zuppa di molluschi aveva solo un altro ingrediente in più, le vongole) quella sera quell’ordine ha incasinato la cucina.
Non posso perdonarmi anche se una sera in 12 anni può essere un errore accettabile.
Quella sera i camerieri dovettero invece mantenere la calma in sala.
A proposito di essere uno chef: partecipare a cooking show non basta per essere definiti chef. Né lo è aver frequentato una scuola e uscirne diplomati. Quanto segue ora sembra qualcosa di strappato ai “detti di un tempo”, ma è proprio così: l’ospitalità e la ristorazione sono tra i mestieri più antichi della storia. Per essere uno chef, cioè il “manager” di una cucina, devi conoscere tutte le piccole attività al suo interno. Personalmente ho iniziato con la piegatura dei tovaglioli e, giuro, non avevo più di quattro anni.
Dal momento che, durante il servizio, il compito dello chef è quello di avere tempismo e dare i comandi esatti con il giusto ordine ai cuochi, ora si può capire la grande interazione tra chef e cameriere (o maître, nei grandi ristoranti ).
Lo chef deve conoscere lo stress che si verifica in sala, senza arrabbiarsi con i camerieri. Deve anche presentarsi in sala, ogni tanto, per calmare gli ospiti con un sorriso e, se è il caso, scusarsi e scusarsi. Questo deve essere fatto con quello che definiamo “garbo”, senza scavalcare il lavoro del cameriere facendolo apparire incapace e inconcludente.
Di certo lo chef non può essere un santo (chi lo è?), ma questa figura deve avere la pacatezza e il senso organizzativo che si possono sviluppare solo con l’esperienza di diversi anni nelle cucine (plurale cucine), preferibilmente ricoprendo ruoli diversi: lo chef deve conoscere gli ingredienti, le rotazioni delle scorte, il modo giusto di conservare i cibi, le tecniche di cottura (come potrebbe altrimenti dare i comandi nel giusto ordine?), deve poter interagire con tutti in sala (questo è un insegnamento dello scalco Bartolomeo Scappi ben descritto nella sua opera del lontano 1570).
In poche parole: lo chef deve avere una certa attitudine: cosa che difficilmente si può insegnare a scuola.



