IL CUOCO PROFESSIONISTA

O meglio: come deve essere uno chef

Secondo Bartolomeo Scappi, cuoco segreto del papa, che visse tra il 1500 e il 1577, il cuoco professionista deve avere molte capacità personali. Oltre a saper distinguere gli ingredienti e saperli valorizzare ognuno a dovere, a saper cuocere le carni a puntino, a saper tenere la cucina in ordine e dare aria all’ambiente,  usare i corretti utensili e le pentole giuste, il cuoco professionista deve essere abile nell’arte di conversare e saper parlare di tutti gli argomenti e in lingue diverse, in modo tale da poter interloquire con gli ospiti di una tavola importante, capire i loro gusti, le loro eventuali malattie ed essere in grado di favorirli in ogni aspetto, rendendo il pasto un’esperienza piacevole e sicura.

Come ho detto più volte, esiste una grande differenza tra il cuoco, lo chef e l’insegnante di cucina. Sono tre professioni davvero diverse.

  • Il cuoco – manco a dirlo – cucina. Talvolta il cuoco è più bravo dello chef nel suo mestiere, cioè nel “mestiere della cucina”. Deve fare attenzione che tutto sia in regola, dalla “linea” – mise en place – alla cura dell’ igiene in ogni fase del suo lavoro. Essere cuoco rappresenta un grande valore. Alcuni degli chef stellati italiani, incluso Carlo Cracco, amano definirsi cuochi, piuttosto che chef. Carlo Cracco assume chef nei suoi locali. Egli si “sente cuoco” attribuendo a questo professione conoscenza, passione, capacità, creatività
  • Lo chef dirige, coordina il lavoro, ha il senso dei “tempi”, fa da intermediario con il maître di sala. È sua la responsabilità che ogni piatto sia pronto al tempo giusto, che tutto – ingredienti, utensili, cuochi, aiuto-cuochi, aiutanti, lavapiatti – sia pronto e disponibile per il servizio.
  • L’insegnante – ovviamente – insegna e deve avere tutte le doti dell’insegnante: certamente la conoscenza della materia, ma anche la capacità di farla capire e la generosità nell’elargire trucchi, segreti, i come e i perché.

Esistono enormi differenze anche nell’insegnamento di tali professioni.


Insegnare a fare il cuoco significa insegnare le materia prime, i nutrienti, la trasformazione chimica durante la cottura. Significa insegnare l’aspetto sanitario ed igienico, l’aspetto salutare e nutrizionale; insegnare quali cibi e quali combinazioni di cibi sono adatti a particolari diete, alle allergie; come sostituire determinati ingredienti. Significa insegnare come comporre un piatto e come presentarlo.


Insegnare a fare lo chef è un’impresa più complicata. Spesso si tratta di avere un’attitudine innata. Lo chef deve saper mantenere e far mantenere la calma. Deve conoscere i menu e le singole ricette a menadito, in maniera da impartire ordini in modo autorevole ma senza autorità. Nella cucina di uno chef in gamba non si deve urlare, mortificare, umiliare. Nella cucina di un bravo chef si devono risolvere i problemi che insorgono nel servizio con criteri di coordinamento, quasi come fosse una tattica, una strategia militare. Sebbene in una cucina non debba esserci alcunché di militare – al contrario di quanto la “brigata” di stampo francese possa indurci a credere. Non esistono “capi” in una cucina. Si deve cucinare e come scriveva Bartolomeo Scappi nel 1500, lo chef deve essere in grado di molte altre cose.

Natural obbligo tra gli huomini, illustre Signor mio, di giovarli l’un l’altro, a beneficio di questo commun vivere mettre ogn’un le sue fatiche, mostrando a gli altri quel tanto, ch’egli ò con la considerazione delle cose, ò l ’isperienza hà ritrovato….”

Che potremmo  intendere, in Italiano moderno, così: Obbligo naturale tra gli uomini, illustre Signor mio, è di giovarli l’uno e l’altro, a beneficio del comune (buon) vivere (dovremmo) mettere da parte ognuno le proprie fatiche, mostrando agli solo quel tanto che consideriamo giusto in base all’esperienza.

Bartolomeo Scappi era uno Scalco, il Maestro che tagliava la carne davanti agli ospiti, assegnando a ciascun ospite il giusto pezzo, anche in base all’importanza dell’ospite. Lo scalco fungeva da ciò che oggi definiremmo manager della cucina. Quindi Bartolomeo Scappi, nei suoi scritti teorici,  si riferisce soprattutto al mestiere di cuoco: il cuoco deve essere in grado di mettere da parte le proprie pene personali e fare in modo da giovare ai suoi ospiti.

Come insegnare a fare l’insegnante? Oltre all’iter burocratico – cioè l’ottenimento dell’abilitazione a insegnare – stabilito con  il decreto legislativo n. 59 del 2017 – esistono modalità generiche e caratteristiche personali che dovrebbero collimare. In realtà non esistono scuole che insegnino a insegnare. Ogni scuola, anche in base all’indirizzo di studi principali, ha le proprie direttive. Il buon direttore della scuola, accademia, istituto, università stabilisce riunioni dei docenti per discutere l’andamento degli studenti e impostare metodi di insegnamento. La capacità di insegnare si ottiene con l’esperienza e non può essere improvvisata. Bisogna – ancora di più di quanto anticipato dal nostro Bartolomeo Scappi – relazionarsi con gli studenti e ognuno di essi ha diverse capacità e inclinazioni. Più che un insegnante che insegni a insegnare servono psicologi. I metodi elaborati dalle varie scuole vanno poi applicati in ogni singola classe e ad ogni singolo individuo. In questo post stiamo parlando di insegnanti di cucina, che notoriamente è un ambiente potenzialmente pericoloso: acqua bollente, fuochi, coltelli affilati, prese elettriche. Un luogo dove più che altrove bisogna mantenere la calma ( che non significa lentezza). Ecco: forse è questo che bisogna insegnare a un futuro insegnante di cucina: saper mantenere la calma.

Insegno da 22 anni. In realtà, anche se la mia esperienza è iniziata in un istituto professionale, dove cioè si formano cuochi e chef, ciò che ho riscontrato non è stata vera volontà di lavorare in una cucina. Figuriamoci entrarci con l’attitudine di umiltà e dedizione sopra descritta!

Se 20 anni fa l’inclinazione era piuttosto diventare fotografi e giornalisti del cibo, qualche anno dopo il desiderio era aprire un blog gastronomico, adesso si punta a diventare influencers. Nessuno vuole toccarlo il cibo, manipolarlo, osservarlo, annusarlo. È un lavoro faticoso, lo sanno tutti. Per questo nessuno, o davvero pochi, vuole più farlo. Ma insomma! Come si riconosce il cibo se non “si parla con esso”?

Forse, e qui concludo, non si tratta tanto di essere cuochi, chef, inseganti o insegnare a essere tali. Forse bisogna cominciare a insegnare a mangiare, assaporare, capire il cibo e amarlo.

Speriamo che non sia troppo tardi.

Marcella Ansaldo © 2023

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