RICORDI DI BAMBINA A PORTOFINO

La prima volta che ho mangiato una fettina di carne cotta in padella nel burro è stato a Portofino. Quanti anni avevo? Forse 6.

Fino ad allora mia mamma me l’aveva sempre cotta nell’olio.

Mi piacque, cotta nel burro.

Al ritorno a casa ho sempre voluto che mamma mi cucinasse la carne in quel modo.

A Portofino i miei genitori avevano affittato una camera nel centro del paese. La camera era in un piccolo appartamento, appartenuto a due vecchie signore. Me le ricordo vestite di nero, intente a lavorare trine al tombolo.  Me le ricordo molto anziane, con i capelli bianchi. Ma io ero piccola, chissà se davvero fossero così vecchie.

Mio padre lavorava su uno dei panfili della famiglia Cameli. La moglie del commendator Luigi Cameli si chiamava come me, Marcella. Una volta siano andati a trovarli alla loro villa, salendoci con un ascensore scavato nella montagna.  Penso che mio padre dovesse accordarsi col commendatore per questioni di barche. La signora Marcella mi ha dato un piccolo secchiello d’argento per giocare in giardino.

Delle volte dormivamo sul panfilo, uno yacht a vela, con un pozzetto a poppa dove c’era la grande ruota del timone e panche-divanetto disposte su tre lati. Mi piaceva passare il tempo nel pozzetto e fare finta di essere il capitano al timone (qualcosa del genere è successo molti anni dopo in Maine).

Una sera c’era una leggera risacca nella baia di Portofino. Io soffrivo il mal di mare. Mio padre fece gli spaghetti alle vongole per noi nella piccola cambusa. Non riuscii a mangiare e non so se poi sono riuscita ad addormentarmi, certamente sì. Ricordo il forte odore di barca e di chiuso, giù nella cuccetta. Stavo malissimo. Ho rimesso più volte. Non ho più dormito su una barca. Non è più capitata l’occasione. Nonostante il mal di mare, sono felice di avere quel ricordo: mio padre ancora giovane e bello, io seduta a prua che lo guardo, là sotto, che si muove giù nella piccola cambusa. Lo vedo ancora.

Sono tornata Portofino altre volte. Non ho mai ritrovato la carne cotta nel burro. Di sicuro è una di quelle cose semplici che si trovano solo nelle case e mai nei ristoranti. Forse per capire davvero l’Italia e i suoi cibi bisognerebbe entrare nelle case, più che nei ristoranti.

In Liguria, oltre alle Trofie col Pesto, si trovano per lo più menu a base di pesce: gli scampi al verde, le acciughe fresche fritte, la zuppetta.

Moltissimi anni fa, in un ristorante lungo il molo di Portofino, ho trovato il mosciame (o musciame), , ancora preparato con filetto di delfino. Si tratta davvero di moltissimo tempo fa. Oggi l’idea fa accapponare la pelle.

In passato il delfino era considerato un pesce e quindi pescato e mangiato regolarmente. Non da tutti i pescatori però. Alcuni, specialmente dell’area della mia isola, il Giglio,  lo chiamavano “fera”, perché conduceva ai branchi di pesci.   Sembrava che la Fera, cioè il delfino, venisse ad avvertire i pescatori e in qualche modo si facesse seguire verso il branco di pesci.  Non poteva essere pescato, ovviamente, perché rappresentava un aiuto ai pescatori. “Fera” con grande probabilità è una parola dell’Italiano volgare che deriva dal verbo latino “fero”, portare, condurre.

Oggi il mosciame si fa ancora, sulle coste liguri, sarde e siciliane, ma vengono usati filetti di tonno.

 I filetti vengono salati ed essiccati. Si tratta di una delizia che non ha bisogno di cottura: si degusta in insalata, condito con un filo di olio di oliva, qualche pomodorino, cipollina fresca e del pane casareccio croccante.

Insalata di musciame

Ingredienti:

Rucola

pomodorini

foglioline di origano fresco

foglioline di basilico fresco

cipollina

musciame tagliato sottile

olio extra vergine di oliva

sale a piacere, ma non molto: il musciame è saporito e bilancia gli altri ingredienti

Marcella Ansaldo © 2023

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