NEW YORK CITY

A guardarne i dintorni , sembra che i suoi avi abbiano deciso di edificarla nella palude più brutta d’ America.

Questo è ciò che si vede dal treno direzione New Jersey.

Il riscatto è stato il saperla rendere brulicante e vivace  a tal punto che 20 km di terra di Manhattan sono diventati insufficienti a contenerle tutti quelli che volevano – e vogliono – venirci. La città è aumentata in altezza, è “packed”, senza spazi, con vie dove gli edifici si ergono “side by side”.

Così come le mosche e le zanzare, noi esseri umani siamo attratti dalla luce. Come le mosche e alle zanzare, ne rimaniamo intrappolati

L’ambiente intorno – e anche quello interno –  non me lo fa supporre, eppure NY è considerate una “foodie town”, tra città dove si mangia meglio negli Stati Uniti….. eppure ci sono ristoranti a Km 0 e “farm to table”.

 A nord di NY nella valle del fiume  Hudson,  ci sono ancora agricoltori tradizionali, che osservano il ciclo delle stagioni. Sono “poveri”, almeno così mi vengono descritti, perché il loro appezzamento è piccolo e perché la stagione del raccolto è breve. Qui si possono trovare zucchini e “squash” in estate, melanzane, frutti di bosco, qualche pannocchia; ci sono alcuni produttori di miele – che non fanno andare le loro api su fiori specifici, come succede in Italia, ma che poi variano i loro mieli con altri aromi – aggiungendo ginger, lavanda, limone e altro; ci sono piccoli allevatori e piccole buone produzioni di formaggi.  Credo che sia una delle poche  aree da cui possano arrivare a NY piccoli produttori ai vari farmers’ markets. In estate. Perché in inverno la situazione da quelle parti è questa.

E comunque, considerate le distanze – anche se sulle mappe sembra tutto vicino – mi sembra azzardato definire un cibo  “km 0” o “farm to table”.

E poi, l ‘”American style”, dove lo mettiamo? Lo stile del tutto e anche di più, degli accostamenti “accozzati” , dell’invenzione “per forza” che per niente somiglia alla semplice creatività.

Questa è stata l’impressione che ho ricevuto la prima volta. L’elettricità di “New York” io non l’ho sentita. Ne’ ho mangiato minimamente bene in alcun posto.

Poi ci sono tornata. Una volta e un’altra. Ci atterro ogni volta che vado in USA. La scusa è che NY è la prima tappa, il punto più vicino e la sosta serve a “scaricare” il fuso orario che mi procura mal di testa,  capogiri e nausea. È anche vero, ma la ragione vera è che voglio sostare a NYC, di tanto in tanto. Perché alla fine la sua elettricità l’ho sentita.

Anzi, l’ho sentita fin dalla prima volta, quando l’ho lasciata. Finché non mi sono IO lasciata andare, finché non ho lasciato il mio senso critico e il mio giudizio. Allora ho cominciato a sentire e godere del “buzzz”  di New York.

Non si riesce a spiegare. Ci hanno provato in tanti, scrittori, cantanti, registi. Forse è l’energia di tutti quelli che hanno vissuto qui e l’hanno fatta diventare ciò che è: dai pionieri ai carpentieri che,  in una foto famosa, fanno colazione su una tavola appesa nel vuoto dall ‘Empire State Building; dalle gang che ancora attanagliano le vie traverse del centro ( basta girare l’angolo dalla famosa quinta strada e trovarsi in un vicolo fumoso da film del crimine) , alle vetrine di brand famosi; dalla calma apparente di Central Park, alle luci di Time Square.

Cos’è che attira? Non sono i grattacieli, i cristalli, i neon…

è questo “buzz” che passa attraverso il corpo e che ti carica.  L’energia della gente, quella di prima e quella di adesso.

Beh! Ho dovuto ricredermi anche sul cibo: si può trovare come si deve.

Ma non è per tutte le tasche, purtroppo…..

Marcella Ansaldo

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