LA CUCINA ITALIANA NON ESISTE

Oggi si usa il termine “fusion”  come se la cucina “sincretizzata” fosse un fatto nuovo.

La cucina è l’espressione più concreta della comunicazione umana.

Come tale risente – subisce e gioisce –  delle interazioni dell’ambiente: geografico, meteorologico, storico, culturale e, perché no, anche politico.

La nostra storia, complicata, con popoli che per secoli sono passati sulla nostra terra – e continuano a passare – con  motivazioni disparate  – guerre di conquista, pellegrinaggi religiosi ,  immigrazione, mercato e commercio, turismo – la nostra storia, dicevo, è uno dei più forti “costruttori”  della nostra cucina.

Che dire della nostra posizione geografica: una lingua nel mare da nord e sud – posizione da invidia: tutti per qualsiasi sia stato e sia il loro motivo, devono “saltare” sull’Italia per andare da nord a sud – e viceversa – e da est a ovest – e viceversa – Ognuno lasciando e prendendo qualcosa. Soprattutto in cucina.

Vi sono luoghi comuni come definire gli spaghetti al pomodoro – o la pizza – il piatto più rappresentativo della Cucina Italiana – che ho scritto volutamente con le maiuscole perché, questa cucina inesistente è di gran lunga la migliore del mondo.

Analizziamo gli spaghetti al pomodoro:

Spaghetti: semola di grano duro e acqua. Questa miscela non è l’unica nel mondo ma in Italia è stato trovato un impasto, da lavorare lungamente affinché sviluppi il glutine così da dargli la consistenza che conosciamo.

La forma: sebbene i laganon – la pasta ai suoi esordi – siano stati conosciuti fin dall’ antica Roma, la tipica forma dello spaghetto sembra provenire dalla Cina. Abbiamo già un primo elemento “fusion”. Pomodoro: originario del Messico, in Italia ha trovato habitat perfetto per la sua coltivazione. La fantasia culinaria italiana ha elaborato  non una, ma innumerevoli salse di pomodoro ( chi non ha mai detto: la “salsa di mia nonna è la migliore del mondo”), cuocendolo ( già, cuocendolo! ) unito sicuramente al nostro oro, l’olio extra vergine di oliva, e alcuni aromi. Non il coriandolo (ohibò!), ma l’aglio pungente, il basilico profumato, creando un perfetto  accordo di sapori. Abbiamo un secondo elemento “fusion”: il pomodoro.

Un’analisi come questa si può fare con la maggior parte dei nostri piatti: nelle tecniche troviamo influenze arabe, spagnole, nordafricane, “barbare” ( cioè straniere del Nord Europa).

Negli ingredienti l’elenco è lunghissimo: mandorle dolci portate dagli Arabi in Sicilia nel VII sec d.C., arrivate a loro dall’ estremo oriente; e poi ancora melanzane, spinaci … e soprattutto il riso, la cui coltivazione ha cambiato l’aspetto di molte campagne italiane e ha fatto erigere acquedotti per portare l’acqua dove non c’era.

I cibi arrivati nel Rinascimento dal Nuovo Mondo: mais, peperoni, tacchino…

Oggi i nostri mercati sono pieni di ortaggi ancora semi-sconosciuti. Ma lo saranno per poco: tapioca, yucca, cetrioli amari, boy chok, varietà di legumi presto saranno sulle nostre tavole dopo aver assunto una forgia “Italiana”.

Eh già: perché i cibi, una volta arrivati sulla nostra penisola ne prendono la cittadinanza. Esempi? Il caffè

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Quanti modi esistono in Italia per preparare il caffè? E il nostro caffè non è forse il migliore di tutti?

..mmhhh  ho scritto  “nostro” caffè? Ma da dove viene il caffè se non dai Paesi Tropicali? Noi però lo sappiamo tostare, miscelare, inventare macchine diverse ( dall’espresso del bar alla moka di casa ) per estrarne l’essenza e avere la bevanda calda e aromatica a cui non sappiamo rinunciare. Siamo pazzi per il caffè, ne percepiamo le sfumature, non sopportiamo i bar dove non “lo sanno fare”, ognuno di noi ha il proprio (basso, lungo, macchiato, senza zucchero, con il miele, corto in tazza larga, al vetro…). Come il caffè italiano non ce n’è.

E la cioccolata? Il cacao è arrivato dal Nuovo Mondo… ma non la cioccolata, che invece è Italiana. Opera dell’ingegno chimico di pasticceri piemontesi, che hanno saputo trasformare le fave di cacao portate dagli Ebrei fuggiti dall’inquisizione spagnola nel 1583. Una mistura equilibrata di cacao tostato, burro di cacao e zucchero e tanta, tanta lavorazione – concaggio, temperaggio ect ect – . Sapienza riconosciuta anche dal Signor Lindt che, un paio di secoli dopo,  scese dalla Svizzera per imparare l’arte cioccolatiera sul suolo piemontese. Ma quanti mente “ingegneristiche” hanno partecipato alla creazione del cioccolato così come lo conosciamo oggi?

Quindi pensiamo al cinghiale in dolce-forte della profonda campagna toscana, con cioccolato amalgamato al fondo di cottura; pensiamo all’agro-dolce – richiamo arabo –  della caponata siciliana; alla pasta con le sarde, dove pinoli, finocchietto e uvetta richiamato il gusto dell’Africa; pensiamo al Bonet piemontese, così vicino alla Francia.

In un simile contesto, persino parlare di Cucine Regionali è riduttivo: nella sola Toscana esistono Garfagnana, Lunigiana, Maremma, Val di Chiana, Val d’Orcia, Casentino, Mugello … sono circa 20 aeree diverse, ognuna di esse con tradizioni culinarie particolari ed uniche.  

E poi l’inventività dove la vogliamo mettere? Il saper sfruttare ogni prodotto – il riso, la melanzana, i peperoni, il mais, l’avocado, le spezie ………- in modo che ognuno possa dare il meglio. E inventare macchine  e utensili, dalla macchina per  caffè, al semplice riga gnocchi di legno: tutti strumenti ideati all’uopo.

L’Italia è un crogiuolo di dialetti, profumi, sapori, sfumature. Ma niente è dato al caso, tutto ha uno scopo e  una derivazione.

Ragioni per cui dico che la Cucina Italiana non esiste.

Ne esistono molteplici, tutte diverse, tutte sublimi, tutte Italiane.

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